Violenza sulle donne: gli uomini possono cambiare

In un convegno l’esperienza del Centro Ldv, prima struttura pubblica regionale di trattamento dedicata agli uomini: un modello esportabile

Parma, 18 dicembre 2012 – Arginare la violenza sulle donne significa anche intervenire sugli uomini: sulla loro cultura, sul loro modo di agire e di vedere se stessi e le relazioni. Significa anche accompagnarli in percorsi personalizzati ad hoc. È quanto s’è provato a fare a Modena, dov’è sorta la prima struttura pubblica regionale di trattamento dedicata agli uomini, il Centro Ldv (Liberiamoci dalla violenza) dell’Ausl: un’esperienza pilota che può costituire un modello anche per altre realtà territoriali. Proprio di questo s’è parlato oggi in Provincia nel convegno “Gli uomini e la violenza sulle donne, percorsi di ricerca e cambiamento”, promosso da Ausl di Parma, Provincia, Regione e realizzato con il patrocinio del Comune di Parma: al centro dell’incontro la presentazione dei due quaderni, editi dalla Regione Emilia Romagna, in cui si racconta l’esperienza del nuovo centro oltre a una ricerca condotta intervistando alcuni autori di violenze, uomini seguiti dai servizi o detenuti negli Istituti penitenziari di Modena e Reggio Emilia.

“Dietro coloro che maltrattano le donne c’è il mondo degli uomini inerti. C’è un tema culturale, di ruoli, e dell’agito delle donne nel rapporto con gli uomini. Come riusciamo a prevenire? La legge sullo stalking sicuramente ha aperto un’opportunità ma non è tutto, perché le donne continuano a essere oggetto di punizione a prescindere. A Parma ci lavoriamo da tanto, e mi auguro che anche qui possa aprire in fretta uno spazio per gli uomini maltrattanti: uno spazio di relazione, di cura, di ridefinizione dei modelli culturali in base ai quali si sono costruiti i rapporti con le donne”, ha detto nel saluto iniziale l’assessore provinciale alle Politiche sociali Marcella Saccani.

Anche in Regione sul tema si sta lavorando da tempo: in un percorso partito con la formazione, proseguito con le iniziative di rete e i servizi rivolti agli uomini e giunto poi alla nascita del centro Ldv di Modena. I numeri del fenomeno li ha snocciolati Antonella Grazia del Servizio Coordinamento politiche sociali della Regione (sulla base di dati stampa perché quelli ufficiali non ci sono) : “129 vittime di cui il 65% in relazione fra loro, solo l’1% è autore sconosciuto, il 30% con arma da taglio, il 26% con arma da fuoco, cosa che ci parla del grado di efferatezza. Il punto di partenza è che la responsabilità della violenza è di chi la attua”.

La sociologa Monica Dotti dell’Ausl di Modena, coordinatrice del Centro Ldv, ha ripercorso l’itinerario che ha portato alla nascita del servizio di Modena, dalla formazione regionale al protocollo prefettizio e alla rete degli esperti, per arrivare a un protocollo specifico distretto per distretto: “Il servizio funziona il venerdì pomeriggio e ha un numero telefonico dedicato. Gli psicologi sono maschi per scelta. Seguiamo 20 casi di cui 3 stranieri, età dai 28 ai 65 anni, professioni varie, titolo di studio medio, il 90% ha più di un figlio, 3 hanno concluso la terapia”. Al servizio si accede su base motivazionale, cioè per contatto diretto dell’interessato, ma tutti gli altri servizi lo segnalano ai propri fruitori.

Lo psicologo Giorgio Penuti (Ausl di Modena, Centro Ldv) è sceso nello specifico del lavoro e ha descritto gli uomini seguiti dal centro: “Hanno in comune il fatto che minimizzano o negano i comportamenti violenti e tendono a decentrare da sé la responsabilità, non hanno la grammatica delle emozioni. La scommessa che giochiamo negli incontri di valutazione è cercare di metterli in discussione. Violenza è costringere una persona a fare quello che non desidera o impedirle di fare quello che desidera. La violenza appartiene a una strategia che ha come obiettivo la sopraffazione”.

“C’è una difficoltà collettiva nell’ammettere la responsabilità maschile sulla violenza, e c’è una difficoltà degli uomini a capire l’inizio e la natura di questa violenza: fanno molta fatica a interrogare le forme culturali delle relazioni. Mentre la condanna della violenza è condivisa, il problema è se siamo in grado di avere un giudizio critico e riflessivo sulle impostazioni culturali che stanno alla base delle relazioni”, ha osservato il sociologo Marco Deriu dell’Università di Parma, direttamente impegnato nelle ricerche raccolte nei due quaderni regionali. “Non ci sono categorie di uomini predisposti o non predisposti: i conflitti e le ambivalenze – ha aggiunto - abitano in tutti noi; quello che cambia è la capacità di avere un dialogo e di riflettere su questi conflitti e queste ambivalenze”.

E a Parma? È ipotizzabile anche qui un percorso simile a quello realizzato a Modena? “I consultori e le case della salute sono osservatori privilegiati per una lettura precoce dei fenomeni, e questo riguarda le donne ma anche gli uomini. Per sfruttare queste loro caratteristiche occorre ora aumentare la capacità di ascolto dei professionisti e migliorare ulteriormente una rete che già c’è: affinare gli strumenti che abbiamo e rendere più omogenee le procedure. Puntiamo a una rete più efficace e mirata anche sugli uomini, per i quali la presa in carico ad oggi da noi ancora non c’è”, ha spiegato Paola Salvini, direttore del Servizio salute donna dell’Ausl. “Cominciamo con un progetto finanziato dalla Regione fra quelli di innovazione: accanto ad azioni di prevenzione e sensibilizzazione – ha detto a margine dell’incontro Paolo Volta, direttore delle attività socio-sanitarie dell’Ausl di Parma - si interviene sugli uomini che hanno agito violenza e sono in carcere, coloro cioè che sono arrivati a una condanna per stalking o per aggressività agita. Sicuramente occorre far partire un percorso culturale, il punto vero è questo: non si tratta infatti di aprire un ambulatorio, di mettere una targa, di offrire qualche ora di psicologo la settimana, ma di far crescere una capacità di valutare la situazione, di conoscere il problema, di trovare soluzioni di uscita. Solo in quel momento ha senso anche la targa, anche l’ambulatorio, anche il professionista: senza una crescita culturale è difficile, e non serve a niente”.

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modificato:mercoledì 19 dicembre 2012

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